Ma scusa di che?

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Mi è capitato di vedere sabato sera una bellissima puntata del programma di Federico Buffa su Cesare e Paolo Maldini. Impossibile se non si è tifosi del Milan non commuoversi per quello che è stato uno dei capitani di questi anni e contemporaneamente uno dei più forti al mondo nel proprio ruolo. Sentire Buffa raccontare prima Cesare e poi Paolo Maldini ti dà l’idea di quello che era quel Milan: un gruppo di uomini prima che calciatori. Ad oggi il principale problema della squadra è prima di tutto la mancanza di un leader che possa unire dei solisti e motivarli: molto spesso per motivi politici si dà la colpa alla rosa quando non è così. La rosa del Milan è scarsa? Certo, se comparata a quelle del 2005 o del 94 e così via. E’ assolutamente competitiva per un terzo posto nella serie A odierna dove la seconda ha poco più di due punti per partita di media.

Maldini per quel Milan era prima di tutto il leader. Era quello che dopo Istanbul è andato a cercare tutti i giocatori, compresi quelli che dopo quel giorno volevano smettere di giocare a calcio come Gattuso e li ha portati ad Atene. Era quello che teneva unito uno spogliatoio dove oggi metà si sente arrivata a 23 anni e l’altra metà passa il tempo a twittare e farsi selfie in vacanza con la fidanzata. Il degrado del Milan oggi è prima di tutto interno ed ha un’origine ben precisa nel tempo: il Milan ha provato a diventare una squadra come tutte le altre quando ha preso Ibrahimovic nel 2010 con effetti comunque limitati. Se si vuole allestire una squadra di mercenari senz’anima a cui lo stipendio importa più della maglia li devi pagare e li devi pagare bene, cosa non possibile in un periodo senza soldi. De Jong è sicuramente il miglior simbolo di questa situazione: non italiano, che non si farebbe problema ad andare alla Juve dopo essere stato al Milan o al City dopo essere stato allo United se questi offrono di più. Nulla contro il tasso tecnico del giocatore, ma mi sembra il perfetto emblema del mercenario nel calcio di oggi.

In questo senso ripartire da un gruppo italiano con una forte identità è sacrosanto ed è uno dei motivi per cui Seedorf (che non voleva Italiani in squadra) è stato allontanato. Abbiamo bisogno di ripartire, proprio come quel Milan, da un gruppo di giocatori che sia tifoso della maglia che indossa e possibilmente con un allenatore italiano. Senza ritrovare l’identità si può acquistare chiunque ma sarà difficile farlo rendere al massimo. Basti pensare alla Juventus di Conte che schierava 6/11 dei titolari del settimo posto infarciti spesso di riserve come Giaccherini, Pepe ed Estigarribia per infortuni. Conte ha saputo portare alla Juve un’identità e dei valori prima di tutto d’orgoglio nello spogliatoio bianconero che in quel momento mancavano.

C’è però un altro episodio della vita di Maldini al Milan che è fondamentale in tutto questo. Quello che ha causato la rottura coi tifosi. Post-finale di Istanbul, aeroporto di Malpensa. Dei tifosi incontrano i giocatori del Milan e gli impongono di scusarsi. Nel silenzio Maldini li affronta dicendogli “ma scusa di che?”. In quelle parole c’è tutto l’orgoglio di chi sapendo di aver dato il 100% della squadra non ha nulla per cui scusarsi. C’è il sapere che quei tifosi erano dei privilegiati per aver assistito a ciò che hanno assistito in questi 20 anni e non avevano alcun diritto di lamentarsi di una sconfitta in una finale europea.

Mi ha fatto veramente schifo leggere il nome di Maldini, domenica sera, nella curva sud. Mi ha fatto schifo per ciò che c’è stato ma soprattutto mi fa schifo usare il nome di uno dei simboli del Milan per le battaglie politiche. E non lo hanno usato solo i curvaioli ma anche amministratori delegati che hanno tentato di arringarsi la simpatia dei tifosi con il suo nome. Mettere Maldini in società è demagogia pura. Maldini è stato un comandante ma la società è un’altra cosa. Lo vedrei bene in una panchina perché è stato, di fatto, un eccellente motivatore ma è stato lui il primo a non voler intraprendere questa via ed è stato lui il primo a non voler ruoli puramente rappresentativi come quello di Zanetti all’Inter. E’ assurdo che rimanga fuori dalla società – vero – ma non si può dare ruoli a pieni poteri solo in base al passato di giocatore, specie a chi è stato prima un comandante e poi un capitano. Lo abbiamo visto cosa è successo al Monza di Seedorf, che per carattere e carisma è stato molto simile al Maldini giocatore. Spero tanto che un giorno cambi idea e possa sedere sulla nostra panchina dove lo vedrei veramente bene.

Vorrei dare il mio messaggio ai quei tifosi. Sarebbe stato bello in curva leggere tra gli hashtag Blisset o Hateley. Sarebbe stato bello vedere rimpianto tutto il Milan. I tifosi hanno dimostrato ancora una volta la loro intermittenza ed il loro tifo opportunistico e a targhe alterne. Non vogliono il Milan, vogliono solo una parte del Milan, quella che più gli è piaciuta. Le caratteristiche di questa squadra sono però periodi di grande gioia e anche di grande sofferenza senza i quali questi non sarebbero mai potuti accadere. I tifosi del Milan si sono “viziati” come ha saggiamente detto ieri Ruud Gullit.  Anche noi vogliamo un Milan che torni grande ma non a discapito della sua storia. Non vogliamo dimenticare quanto sta succedendo e speriamo di raccontare orgogliosi tra 10 anni di quella volta che nel Milan giocavano Taiwo e Traorè. 

Mi piacerebbero altri Maldini in dirigenza e in squadra. Giocatori e dirigenti che prendano le distanze dal tifo il più possibile e non lo usino per cercare la scalata al vertice della società con assurdi comunicati della curva. Mi sarebbe piaciuto vedere qualche ex-allenatore non dover andare a giustificarsi con i capi della curva e reagire proprio come reagì il capitano quel giorno. Oggi i tifosi del Milan sono troppo occupati a dare del lecchino ad un allenatore o a sbavare dietro a chi per interesse passa 24 ore su 24 ad attaccare la squadra su stampa e TV. Dico attaccare, non criticare, perché la critica resta sacrosanta ma diventa stucchevole quando si cerca in tutti i modi di farla in ogni momento ed è ancora più stucchevole la mandria di pecoroni che segue questi guru per i loro fini. Uno sfruttamento stucchevole dell’ignoranza del lettore.

Concludo con due parole sull’hashtag #settimanadellodio che sta girando su twitter. Prendo le distanze, per due volte. Prendo le distanze sia dall’odio come concetto calcistico ma soprattutto dal ricordarsi la rivalità con i cugini o il tifo per il Milan per una settimana l’anno. Quell’hashtag rappresenta esattamente com’è il tifo oggi: intermittente e decisamente umorale, praticamente occasionale. I cugini si schifano 52 settimane l’anno, non solo quella prima del derby.

Diavolo1990 – www.rossonerosemper.com

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