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EDITORIALE DEL GIORNO
Nonne innamorate: Kakà e il suo cuore
Quando arrivò, nell’agosto del 2003 Milan Channel lo accolse per tutta la sera con la foto fissa e inno del Milan. L’abbonato medio al canale tematico sono sicuro, che come me, si sarà fatto scappare un sorrisino anche se la speranza in un acquisto azzeccato accarezza sempre il tifoso. Ma Milan Channel evidentemente sapeva.
Erano annate dove, tranne che per il periodo infelice della fine degli anni 90, superato proprio grazie all’inaspettato scudetto di Zaccheroni, s’erano rinverdite le capacità della dirigenza di scovare talenti in Italia e in giro per il mondo e, supportati dalle generose elargizioni del presidente, si era costruito uno dei miglior Milan di sempre. C’era grande fiducia, sia per la gestione manageriale sia per la gestione tecnica. Carlo Ancelotti assicurava con sagacia quella conduzione del “Milan ai milanisti” cara al presidente. Adriano Galliani gestiva con intuito contatti e scambi, arguti quelli con i dirimpettai milanesi, che assicuravano compattezza e classe al Mister emiliano. E poi s’era reduci dalla sesta Coppa dei Campioni dopo aver superato l’Inter, e in finale a Manchester, la Juventus: tanta roba. Quindi quando, il giorno di ferragosto con quasi tutti gli operatori di mercato a mollo in Sardegna, Ariedo Braida partiva a chiudere un contatto da lui gestito (su delega di Galliani, ma senza l’ausilio di Leonardo) molti davano fiducia alla società un po’ a scatola chiusa. Così lo sbarco di questo ragazzino con gli occhialini, dalla faccia pulita da Milan insomma, il nipotino ideale per qualsiasi nonna rossonera, venne accolto come un regalo, come una ciliegina sulla torta. Tecnicamente fece subito innamorare i supporters e contribuì non poco allo splendido scudetto festeggiato nel 2004, stravinto senza polemiche, l’ultimo prima di una lunga serie di titoli contestati a destra e manca. Campionato che cancellò le amare sconfitte in Coppa Intercontinentale e col Deportivo.
I due campionati seguenti furono i migliori per Ricky, incredibile poi il primo con la beffa dell’assurda Champion persa a Instabul. Parlo delle sconfitte (ho vinto tantissimo ma anche perso dice con serenità Paolo Maldini) perché è proprio quello che tecnicamente imputo al brasiliano. Quando la squadra non supportava Kakà, raramente Kakà ha trascinato la squadra. Quando l’ha fatto c’è riuscito con giocate di classe che han fatto dimenticate le partite insipide dove magari qualche numero nascondeva un disorientamento tattico(venuto poi fuori nell’esperienza madri dista), insomma era proprio la “ciliegina”. Fa eccezione la Champion 2007! Una squadra depressa dalle arbitrarie sanzioni di calciopoli, ha trovato riscatto nell’esaltante cavalcata di Champions trascinata da un superbo Kakà e che gli ha fruttato poi il “Pallone d’oro”. Ma da allora, a Milano e a Madrid, il nostro Riccardino ha perso,per infortuni e col passare del tempo, la decisività dei primi anni e della stagione d’oro. Ecco, così come nel 2009 non si doveva, a mio parere vendere Kakà per l’uomo, la persona prima che per il calciatore, al di là delle sue prestazioni, oggi a maggior ragione, tagliato il traguardo delle 300 partite nel Milan e con ancora numeri d’alta scuola come quello di sabato, dobbiamo sperare che Ricardo Izecson dos Santos Leite scelga di rimanere. Sperare che, come voleva fare anni fa, dica no ai soldi e ai facili guadagni e segua il suo cuore rossonero. Se rimarrà su di lui, sul suo modo di essere e proporsi, sul nipote delle nonne rossonere si può, oggi ancora in campo (ma con qualche pausa, e una nuova posizione tattica), domani come uomo immagine e dirigente, imperniare la crescita che riporti il Milan ai fasti del passato, perché Kakà è una persona incantevole che fa, anche, il calciatore.
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